Ogni processo di creazione passa per la distruzione. La metamorfosi è necessaria alla ricerca e alla scelta di affrontare l’accrescimento
Nel lavoro di Kaey è lo stesso gesto distruttivo a dar forma alla creazione.
Un percorso difficile quello intrapreso dall’artista in questa performance che si presenta a tutti gli effetti come un’esperienza forte e controversa, provocatoria e al tempo stesso atta a stimolare la riflessione nella mente dello spettatore.
Liberarsi delle icone equivale per l’artista a spogliarsi dalle velleità, abbandonarsi ad un estremo gesto, preferendo la verità e l’onestà. Distruggere le divinità che ognuno di noi crea per meglio sopportare la caducità dell’esistenza, distruggere i demoni -dostoevskiani- di cui si è succubi, abbracciare una visione più ampia, più viscerale è la strada giusta per raggiungere la verità.
Ammettere la propria natura animale, torbida, violenta e non avere timore di mostrarla agli altri.
Solo così potremo vivere liberi, autentici, nella consapevolezza, nella fede del pensiero, della mente e nell’Arte.
La performance avrà luogo il giorno 27 ottobre alle ore 19.00 presso la Libreria Todomodo, Via Bellegra 44-46
Le 11 scultureinstallatediventanotappeallegorichediunviaggiocherivalutaiconepopeimmaginidell’attualità,neltentativodistimolarelariflessionesudeterminatecondizionisociali, politico–economicheemorali, ediscatenareunapolemicacostruttivasuirinvenutirestidellanostracontemporaneità.
La mostra sarà aperta al pubblico dalle ore 18:30 alle 22:00, dal 27 al 31 ottobre 2020.
Per favorire il pieno rispetto delle normative anti-contagio attualmente in vigore, gli accessi saranno contingentati e guidati dal personale che accompagnerà i visitatori negli spazi del C.S. Brancaleone. […]
L’obiettivoèquellodifarrifletteresull’improvvisapresadicoscienzadinonesseremaialsicuro, poichéorapiùchemaisiamotuttiuguali, siamotuttirinchiusi, siamotuttisani, siamotuttiinfetti. Nonesiste un nemico reale. Il virus prende tutti, non fa distinzioni.
Allo stesso modo, il Parassita si fa metafora della tecnologia che invade la nostra vita appropriandosi di ogni parte del nostro essere e si nutre delle nostre energie (e dei nostri dati) crescendo e acquisendo sempre più potere, tanto da sopraffare l’organismo ospitante.
Proseguendo incontriamo i Nuclei, il cui ritrovamento rappresenta la rinascita ed introduce la svolta propositiva del nostro viaggio: Pneuma, un’esperienza sensoriale che riprende in un ossimorico parallelismo lo Zeitgeist ed invita lo spettatore a riappropriarsi del suo tempo, a riscoprire il piacere dei dettagli, della riflessione e dell’introspettiva.
Quest’ultima parte del percorso si può riassumere nel tentativo da parte dell’uomo di dare una nuova forma alla Natura e ai suoi elementi, confacente ai suoi bisogni e assoggettata alle sue necessità. Modern Prometheus vol. II ci presenta una figura di fattezze umane, nella cui schiena l’artista ha conficcato 23 coltelli. La creatura, concettualmente simile al Frankenstein di M. Shelley, diventa vittima del fallimento dell’umano-creatore, il quale tradisce il frutto del suo stesso intelletto e cerca di distruggerlo nel tentativo di nascondere il proprio errore alla vista del mondo.
Persefone si presenta come una doppia installazione dove la visione della video-performance realizzata nel 2017 da Kaey, in cui si narra del ratto di Persefone, è affiancata all’esposizione delle maschere utilizzate dai performers, rielaborate al fine di enfatizzare all’estremo l’allegoria di ciascun personaggio, mostrando la maniera in cui lo stesso elemento può essere riletto e rivalutato dal suo stesso creatore in cui diverso momento della sua vita, anche alla luce di un contesto ed un’attualità differente.
Il nostro viaggio termina con Agata: un’entità che racchiude in sé tutto ciò che è espressione del buono e del giusto; un nuovo punto di riferimento per l’uomo e per l’artista che, al termine di questo percorso di distruzione, smarrimento e ricostruzione, trova in Agata il proprio centro gravitazionale e la fonte alla quale rivolgere le sue attenzioni.
Questo il comunicato stampa redatto dalla dott.ssa Marcella Magaletti in occasione della mostra personale “Antropologika“, che ha avuto luogo dal 27 al 31 Ottobre 2020, presso gli spazi del centro sociale Brancaleone a Roma.
I QR-Code qui consentivano ai partecipanti di approfondire tramite le descrizioni delle opere, anche queste ad opera della dott.ssa Magaletti. Clicca per accedervi.
Il progetto artistico prevede la stretta collaborazione dell’artista K. con il regista Maurizio Rodio, lo scenografo Francesco Paolo Cipullo e la direttrice di produzione Myrlande Nardi, finalizzato al compimento di un esperimento sociale sul coinvolgimento del pubblico social mediante lo storytelling.
L’idea di K. prende forma nell’intensa storyline sviluppata dal gruppo di lavoro, che vedeva Rodio protagonista di una fittizia aggressione, dalla quale scaturiva una indagine dello stesso, nel tentativo di interpretare gli “indizi” e mettere a fuoco la vicenda che lo vedeva coinvolto. Il tutto, documentato da brevi filmati – o stories – e immagini postate sui social, è culminato in una diretta Facebook nella quale Maurizio esplorava gli spazi del Brancaleone assieme a due amici per poi ritrovarsi catapultato in un universo meta-terreno, in una storia senza tempo, raccontata dalle installazioni della serie Antropologika.
La diretta è stato un successo, grazie alla magistrale regia di Rodio e alla sua interpretazione più che convincente, assieme alla preziosa partecipazione di Gabriele Wegner, anch’esso protagonista della diretta e al di fuori, regalando ulteriore credibilità alla vicenda.
Il video prodotto il 26 Ottobre e trasmesso dal profilo social di Wegner ha raccolto circa 1500 impressions e followers, molti dei quali hanno poi visitato con interesse l’esposizione.
Di seguito, le immagini della mostra e del diario scritto da Basiago Moberli, personaggio di fantasia creato dal gruppo come motore della vicenda, nonché il link della diretta Facebook.
“Come ti abbraccia la paura. In questi giorni, il cielo ha un colore malato, un sole opaco, nuvole grasse. Quei palazzi che conoscevamo, adesso sono tristi, grigi e crudeli, e i loro spigoli ti graffiano la vista. Questa paura ti ingolfa, ti assopisce, è nebbia.
Questo è il virus . Il suo volto può essere quello di ciascuno di noi. Siamo esiliati in atolli dai tratti familiari, tramutati in carceri che ci somigliano.
Guardiamo gli uni agli altri con sospetto, terrorizzati dall’altro. Il viso di un infetto non è diverso dagli altri.
Per questo progetto, ho chiesto ad amici e parenti di ritrarsi, senza ostentare né mascherarsi.
Per chi volesse contribuire, basta inviarmi in privato uno scatto (un selfie), mostrando lo sfondo che preferisce e che rappresenti di più il suo stato fisico e mentale.
La mia idea è di mostrarci ancora una volta tutti uguali e simili, come siamo, anche in questo momento che non immaginavamo arrivasse. Un domani, sarà una testimonianza, per adesso, spero sia uno specchio.”
cit. Kaey – Roma, Marzo 2020
Durante la quarantena indetta dal governo italiano a seguito dell’emergenza sanitaria provocata dal virus Covid – 19, milioni di bambini, donne e uomini si sono scoperti imprigionati.
La prigione non è necessariamente l’edificio nel quale si è costretti a vivere, ma anche l’improvvisa presa di coscienza di non essere mai al sicuro.
La minaccia esiste ed è reale, ma non ha un volto, non esiste un colpevole da perseguire. Sono tutti potenzialmente in pericolo e tutti sono potenzialmente il virus.
Nelle rare occasioni in cui è consentito uscire di casa, ogni passante acquista un aspetto minaccioso.
In quest’opera, il virus è rappresentato da un volto che esplode e si espande verso l’esterno. Su questo vengono proiettati dei volti.
In corso di lavorazione, l’artista ha chiesto a chiunque volesse partecipare di ritrarsi nella propria casa, nella maniera che preferisse, per poi proiettare le immagini raccolte sulla scultura/virus.
Tra le proiezioni ci sono espressioni sorridenti, sofferenti, frammentate, impaurite.
L’obiettivo è quello di far riflettere poiché ora più che mai siamo tutti uguali, siamo tutti rinchiusi, siamo tutti sani, siamo tutti infetti.
Non esiste un nemico reale. Il virus prende tutti, non fa distinzioni.
Il personale adattamento degli arcani maggiori da parte di K è il risultato di una lunga riflessione sulla loro simbologia e su ciò che insegnano.
Nell’elaborare questa ricerca, l’artista si avvale dello studio di maestri del calibro di Alejandro Jodorowsy e Aleister Crowley e inoltre della consulenza di Simone Loi, naturopata e tarologo. Lo stesso Loi ha contribuito attivamente al catalogo della mostra citando alcuni passi dalla sua tesi sull’argomento.
I 22 Trionfi, detti anche Arcani Maggiori, hanno da sempre affascinato gli artisti, alcuni dei quali si sono cimentati in una personale revisione del modello originale; si pensi ai Tarocchi del Mantegna, ai mazzi di Salvador Dalì, Enrico Baj e i Tarocchi di Dario Fo, dipinti dal figlio Jacopo.
Ne “Il castello dei destini incrociati”, Italo Calvino dona ai suoi personaggi, affetti da insanabile mutismo, la possibilità di raccontare le loro avventure per mezzo dei Tarocchi disposti sul tavolo. Kaey sembra accogliere l’invito dell’autore, raccogliendo il mazzo originario e invitandoci a ripercorrere la via dei Tarocchi attraverso un intrigante repertorio figurativo di forte valore simbolico, dando forma ad un percorso evolutivo di crescita personale, mentale e spirituale.
Ogni Arcano è una tappa del percorso, un’entità con un preciso carattere. Partendo dall’iconografia classica del mazzo originario, Kaey ci trasporta in un universo di umanoidi, macchine e colori – che richiamano senz’altro la scuola americana New Age di Ralph Steadman e le sperimentazioni di Dave McKean – in cui ciascuna figura si rapporta ad una specifica fase della crescita di un individuo, donando così agli Arcani una chiave di lettura estremamente umana. Nel ciclo ritroviamo infatti un feto, che diviene neonato e che affronta poi figure paterne e materne, per giungere infine all’incontro con la società all’esterno del nucleo familiare, acquisendo una sempre maggiore consapevolezza di sé, man a mano che si inoltra nel viaggio.
La ricerca di Kaey è attuale e moderna. Al tempo stesso, la scelta del modello degli Arcani, cristallizza la sua opera in un’epoca senza tempo, nella quale elementi del passato si mescolano a suggestioni e costruzioni futuristiche, dando vita ad un linguaggio imperituro che trova la sua massima espressione nella scelta di una tematica universale.
cit. Marcella Magaletti, curatrice della mostra “22”
Persephone ha origine dalla personale omonima di K e progredisce in forma multimediale tra arti visive, performative e video.
Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione con la compagnia teatrale/performativa NiDuo di Francesca Zavattaro e Antonio Cicerone, al supporto della troupe di The Hieronymus Case (in particolare Luca Gasperoni, Simone Rosati e Marie Angela Tuala Paku in veste di regista) e la partecipazione della performer Manuela Cirfera.
Nella video performance si narra del ratto di Persefone, estrapolando il valore del mito e il suo messaggio di rinascita, crescita e potenza degli equilibri.
I primi due atti mostrano mostrato il rapimento e il soggiorno nell’Ade, in cui Kore, figlia della dea Demetra, affronta la metamorfosi e acquisisce il potere della consapevolezza, fino ad innalzarsi a regina degli Inferi: Persefone.
Il terzo atto invita alla lieta celebrazione della figlia che si ricongiunge alla Dea Madre , il risveglio della Natura, sabba a compimento dell’equilibro e del ciclo dell’esistenza.
La prospettiva adottata da K e dal suo gruppo di lavoro è tesa ad attualizzarsi in un messaggio ecologista, oltre a mostrare un livello di interazione più viscerale tra i personaggi della vicenda. Qui è la Kore a scegliere il suo destino, non più vittima degli eventi e delle decisioni degli altri déi.
Pandemonium è parte di un ciclo narrativo sviluppato in forma di graphic-novel. La storia è inedita e andrà a fare da raccordo per vicende più ampie.
Ogni tavola è resa come splash page, cioè come unica inquadratura, e rappresenta anche un esempio di illustrazione sperimentale. Il progetto tenta di rendere in ogni pagina una tela dipinta: un viaggio di accrescimento del protagonista che ha come sfondo le ambientazioni orrorifiche del subconscio umano e dei suoi vizi.
La tecnica utilizzata prevede acquerelli, olio, inchiostro, grafite, collage, digital art e altro.